Usina de Letras
Usina de Letras
89 usuários online

Autor Titulo Nos textos

 

Artigos ( 62262 )

Cartas ( 21334)

Contos (13267)

Cordel (10450)

Cronicas (22538)

Discursos (3239)

Ensaios - (10376)

Erótico (13571)

Frases (50652)

Humor (20037)

Infantil (5449)

Infanto Juvenil (4775)

Letras de Música (5465)

Peça de Teatro (1376)

Poesias (140814)

Redação (3309)

Roteiro de Filme ou Novela (1064)

Teses / Monologos (2435)

Textos Jurídicos (1961)

Textos Religiosos/Sermões (6202)

LEGENDAS

( * )- Texto com Registro de Direito Autoral )

( ! )- Texto com Comentários

 

Nota Legal

Fale Conosco

 



Aguarde carregando ...
Poesias-->POEMAS TRADUZIDOS -- 29/05/2002 - 16:20 (Nilto Maciel) Siga o Autor Destaque este autor Envie Outros Textos






POEMAS TRADUZIDOS



DE



NILTO MACIEL









Índice



La Ricerca Dell’Interiorità Nella Poesia di Nilto Maciel (Angelo Manitta)

Navegador/Navigatore

Trabuco/Mortaio

Passagem /Passaggio

Pretensão /Pretesa

O tempo/Il Tempo

Sonho/Sogno/Reve

Tal Como Ensinou Epicuro/Tel Que L’Enseigna Epicure

Que Fosse/Qui Fut

Progresso/Progres

Duende/Lutin

Com os Pés no Chão/Avec les Pieds par Terre

Amanhança/Auroral

Prof-ética/Pro-phétique

Saudades/Tout passe

Calvário/Calvario

De Desaparições e de Ruínas/De Desapariciones y de Ruinas

Francisca/Francisca

Arco-íris/Arco iris

Choro/Polka



LA RICERCA DELL’INTERIORITÀ NELLA POESIA DI NILTO MACIEL



Angelo Manitta



“Navegador” è una delle più belle e singolari sillogi di poesie di Nilto Maciel, poeta brasiliano che predilige l’astrazione e la metafora: il navigatore è l’uomo che con i suoi occhi scopre il mondo. La predilezione per l’astrazione è già visibile scorrendo soltanto alcuni titoli delle sue liriche: Sogno, Odissea interiore, Riflessioni, Illusioni, Insonnia, Destino, Immagini, Apocalisse. La poesia scorre sul sottile filo della introspezione. Il poeta, infatti, sa guardare dentro di sé come dentro ogni uomo, perché suo intento è rappresentare l’uomo universale e proprio questa sua universalità lo rende grande. Francisco Carvalho, uno dei più importanti poeti brasiliani contemporanei, nel libro “Textos & Contextos” dedica uno studio alla sua opera scrivendo che egli è, senza alcun dubbio, uno dei nomi più rappresentativi della moderna letteratura brasiliana. Autore di racconti, romanzi o poesie, rivela la straordinaria versatilità del suo talento creativo. Egli è un ammirevole scrittore in quanto possiede capacità, immaginazione, invenzione, tecnica narrativa ed espositiva, proprio come deve possedere un buon narratore. L’intreccio della sua finzione è un complesso ingegnoso di contenuti essenziali, sapendo con grande abilità condurre la narrazione o risolvere armoniosamente le situazioni immaginate.

Bellissima in tal senso ed emblematica è la poesia “Navegador” che dà il titolo all’intera silloge. Gli occhi ciechi navigano, alla sprovvista, in un mare in tempesta, quasi sperdute imbarcazioni senza timone. Ma quegli occhi, che diventano muti, sanno intravedere le onde che generano la tempesta. Proprio quegli occhi, che in una terza fase diventano sordi, sanno anche mostrare canti di dolore, di morte e di solitudine. Il linguaggio metaforico qui è molto chiaro. Il navigatore è l’uomo che deve affrontare la vita quotidiana e tutti i suoi pericoli, non solo fisici, ma pure sentimentali, politici e sociali. L’uomo ogni giorno si imbatte in mille problemi. Ma alla fine raggiunge la pace e la quiete interiore. La poesia richiama un’ode del grande poeta latino Orazio: «O navis, referent in mare te novi / fluctus. O quid agis? Fortiter occupa / portum. Nonne vides ut / nudum remigio latus / et malus celeri saucius Africo / antemnaeque gemant…?» che significa: «O nave, nuovi flutti ti spingono in alto mare. Che fai? Entra subito nel porto. Non vedi come il tuo fianco è scoperto e l’albero è ferito dal veloce vento mentre le antenne gemono?». La poesia di Maciel, come spesso quella di Orazio, è una poesia tutta volta all’infinito. Malgrado le tempeste e le sofferenze interiori alla fine è la quiete a prevalere.

(Jornal “Il Convivio” n.º 3, ottobre-dicembre 2000, Castiglione di Sicilia, Catania, Italia)







NAVEGADOR



Meus olhos cegos, que não vêem naves,

navegam pelos mares das tormentas

– perdidos barcos, rotos, sem timão.



Meus olhos mudos só vislumbram vagas,

doida babel de tempestades feita,

monstros marinhos, oceano largo.



Meus olhos surdos só conseguem ver

cantos de dor, de morte e solidão,

a minha própria imensidão de ser.







NAVIGATORE



I miei occhi ciechi, che non vedono nave,

navigano sui mari in tempesta

- perdute imbarcazioni, rotte e senza timone.



I miei occhi muti intravedono solo onde,

pazza babele fatta di tempeste,

mostri marini, oceano largo.



I miei occhi sordi vogliono solo percepire

canti di dolore, di morte e solitudine,

la mia propria immensità dell’essere.



(Traduzione di Angelo Di Mauro e publicado na revista “Il Convivio” n.º 1, 2001, Castiglione di Sicilia, Catania, Italia)







TRABUCO



Essa palavra é feia

nos ossos estilhaçados

que o tempo roeu.



Essa palavra leia

nos escritos coloniais

de padres e escrivães.



Essa palavra é teia

nos meus olhos amargados

de tanto vê-la e perdê-la.



Essa palavra é dura

feito achas de pau-brasil

nos ombros de meus avós.



Essa palavra cura

o sono dos iludidos,

bem-aventurados e vivos.



Essa palavra é pura

no vocabulário dos leigos

leitores de hipocrisias.



Essa palavra dói

na ponta de meus lábios

inchados e costurados.



Essa palavra rói

feito ácido na carne

torturada e estraçalhada.



Essa palavra sói

figurar no dicionário

da morte e do mais forte.



Essa palavra queima

feito tição de fogueira

debaixo da sola dos pés.



Essa palavra teima

em verrumar meus ouvidos

com seu estrondo constante.



Essa palavra é reima

que não se trata

com meizinha ou bruxaria.



Essa palavra rouca

ressoa debaixo do chão

feito tiro de canhão.



Essa palavra louca

me trancafia a alma

nos corredores da dor.



Essa palavra pouca

retumba em meu coração

feito pancada de cão.



Essa palavra à toa

percorre minha ilusão

e a mata de inanição.



Essa palavra soa

feito vôo desesperado

no espaço da escuridão.



Essa palavra é loa

no canto dos assassinos

de meu irmão de nação.



Essa palavra boa

viaja em minha oração

de vingança nativa.



Essa palavra reboa

nas tumbas escurecidas

e grita sua nova versão.



Essa palavra inda fura

meu peito de desespero

na hora de decliná-la.



Essa palavra, irmãos,

é arma de morte

com que hei de me viver.





MORTAIO



Questa parola è brutta

nelle ossa frantumate

che il tempo ha corroso.



Questa parola è letta

negli scritti coloniali

di preti e scrivani.



Questa parola è ragnatela

nei miei occhi amareggiati

da tanto vederla e perderla.



Questa parola è dura

come asce di legno-brasile

sulle spalle dei miei nonni.



Questa parola cura

il sonno degli illusi

fortunati e vivi.



Questa parola è pura

nel vocabolario dei laici

lettori di ipocrisie



Questa parola fa male

sulla punta delle mie labbra

gonfie e cucite.



Questa parola rode

come un acido sulla carne

torturata e malridotta.



Questa parola sta di casa

nel dizionario

della morte e del più forte.



Questa parola brucia

come un tizzone di brace

sotto la suola dei piedi.



Questa parola si ostina

a rovinare il mio udito

col suo fragore costante.



Questa parola è un reumatismo

che non si cura

con decotti o fatture.



Questa parola sorda

si sente sotto il pavimento

come un colpo di cannone.



Questa parola pazza

mi trafigge l’anima

nei corridoi del dolore.



Questa parola insufficiente

rimbomba nel mio cuore

come una legnata a un cane.



Questa parola inutile

percorre la mia illusione

e la uccide di inanizione. .



Questa parola suona

come un volo disperato

nello spazio del buio.



Questa parola è lode

nel canto degli assassini

del mio fratello di patria.



Questa parola bella

viaggia nella mia prece

di vendetta nativa.



Questa parola ribolle

nelle tombe annerite

e urla la sua nuova versione.



Questa parola ancora buca

il mio petto di disperazione

nell’ora di declinarla.



Questa parola, fratelli

è arma di morte

con cui debbo darmi vita.



(Traduzione di Paolo Padovani.; publicado em “Il Majakovskij” n.º 36, 2000, Laveno Mombello, Varese, Italia)







PRETENSÃO



Quero deixar meu rastro,

meu pé no chão gravado,

uma qualquer pegada,

minha sombra talvez.



Não quero partir em vão,

como a fera que se vai

sem presa alguma pegar

– ave de rapina débil

que ninho nenhum destrói.



Quero deixar meu longo grito,

feito um trovão de ensurdecer,

gravado inteiro nos ouvidos

desta floresta de meus dias.



Não quero a vida deixar assim

tão docemente, como se fosse

ao bosque andar e nele morar.



Quero voar pro Nada, sim senhor,

porém de tudo quero um pouco, mesmo

da dor, porém da dor de ser, da dor

de não ficar e eternamente ser.





PRETESA



Voglio lasciare la mia traccia

imprimendo il mio piede nella terra,

una traccia qualunque,

la mia ombra forse.



Non voglio partire invano,

come la fiera che se ne va

senza prendere alcuna preda

uccello rapace debole

che nessun nido distrugge.



Voglio lasciare il mio lungo grido,

come un tuono assordante,

imprimendo del tutto le nostre orecchie

di questa foresta dei miei giorni.



Non voglio lasciare la vita cosi’

cosi’ dolcemente, come se andassi

al bosco e li’ rimanessi.



Voglio volare verso il Nulla, si’ signore,

pero’ di tutto voglio un po’, perfino

del dolore, del dolore di essere pero’, del dolore

di non restare e eternamente essere.



(Trad. di Giovanni Villa)





PASSAGEM



Que importa

se é de ouro

ou madeira

a porta

por onde passam

o garimpeiro e o lenhador,

se o que sentem ambos

é não saberem

aonde vão?





PASSAGGIO



Che importa

se è d’oro

o di legno

la porta

per dove passano

il cercatore d’oro e il boscaiolo,

se quello che sentono entrambi

è lo stesso dolore di sempre?



(Trad. di Giovanni Villa)







O TEMPO



Não passa o tempo lento

que a gente nunca vê.

É como o vasto vento

que passa na tevê.



Frio cedo fazia,

faz agora calor.

Antes tudo doía,

já nem me dói a dor.



Tempos idos sonhei,

ninguém me viu sonhar.

Hoje, que me acordei,

não sei como acordar.



Faz anos fui nascer.

Ninguém me percebeu.

O destino a não ser,

e eu mesmo, apenas eu.



O tempo corre, corre,

e desce, sobe, desce,

e, enquanto a gente morre,

ele desaparece.





IL TEMPO



Il tempo e’ lento a passare

e noi non lo vediamo mai.

E’ come il grande vento

che si vede in tivu’.



Há fatto freddo presto

e ora fa caldo.

Prima tutto era dolore,

ora non sento piu’ il dolore.



Qualche tempo fa sognavo,

ma nessuno mi há visto sognare.

Adesso che mi sono svegliato,

non so come svegliarmi.



E’ da tanto che sono nato.

E nessuno si ricorda.

Il destino e’ non essere,

ma solo io, appena io.



Il tempo passa in fretta,

e scende, sale, scende,

e quando noi moriamo,

lui sparisce.



(Trad. di Maria da Conceição Silveira)



SONHO



E eu, que sou rei, porém rei

desta incoerência, quebro

copos de fino cristal

e rio da sisudez

dos inúteis soberanos.



E fujo para o quintal

de mim mesmo – sujo e puro –

e ergo altar de pedra tosca

para o deus da hediondez.



No quintal planto a semente

da brandura, mansidão.

Duro chão de minha tez.



Após, me elevo e debando

para o céu da fantasia.





SOGNO



Ed io, che sono re, ma re

di questa incoerenza, spezzo

vetri di fino cristallo

e me la rido della gravità

degli inutili ricordi.



E fuggo nel giardino

di me stesso - lurido e puro -

e innalzo un altare in pietra grezza

al dio dell orrido.



Nel giardino spargo il seme

della dolcezza, della mansuetudine.

Duro suolo del mio volto.



Poi vado in estasi e fuggo

nel cielo della fantasia.



(Trad. di Angelo Di Mauro, in jornal "Il Convivio" n.º 1, aprile-giugno 2000, Castiglione di Sicilia, Catania, Italia.)

REVE



Et moi qui suis roi, quoique roi

de cette incohérence, je brise

des verres de fin cristal

et ris de la gravité

des inutiles souverains.



Et je fuis dans le jardin

que je suis – sale et pur –

et je dresse un autel en pierre brute

au dieu de la hideur.



Dans le jardin je mets en terre la semence

de la douceur, mansuétude.

Dur sol de mon teint.



Puis je m’élève et je m’enfuis

dans le ciel de la rêverie.

(Traduction: M. A. Lopes)





COMO ENSINOU EPICURO



Vasto quintal onde me refugio

na noite escura onde o silêncio manda.



Quintal onde me abrigo, fugitivo,

da tempestade que me colhe cedo,

mal nasce o dia e bem sucumbo tarde.



Essa terrível coisa que me punge,

monstro sem cor chamado solidão,

aquela dor mortal porém eterna.



Quintal onde me escondo de mim mesmo,

quando de noite o mundo se recobre,

para fugir da fera que me caça,

lobo instalado em minha cama bruta.



Quintal onde me enterro vivo e só,

um palmo além da plana superfície

e onde me sinto como se estivesse

no meio do universo e do infinito,

isto que chamo tudo e chamas Deus

&
61485.; a tua só e pura existência.



TEL QUE L’ENSEIGNA EPICURE



Vaste jardin où je me réfugie

dans une nuit obscure où le silence ordonne.



Jardin où, fugitif, je m’abrite

de la tempête qui me surprend de bonne heure,

mal né le jour, bien accablé le soir.



Cette terrible chose qui m’afflige,

monstre sans couleur nommé solitude,

cette douleur mortelle et pourtant éternelle.



Jardin où je me cache de moi-même

lorsque de nuit le monde se recouvre

pour fuir le fauve qui me chasse

loup installé dans ma couche grossiére.



Jardin où je m’enterre vivant et seul

un pied hors de la surface plane

où je me sens comme si j’étais

au milieu de l’univers et de l’infini

celui que j’appelle et que tu appelles Dieu.

ta seule et pure existence!



(Traduction: Jean Paul Mestas)





QUE FOSSE



Que fosse taça de bebida amarga

em noite de velório interminável,

e nunca uma sonata alegre e presta.



Que fosse copo de veneno doce,

minha cicuta, minha dor mortal,

jamais candura em ser essencial.



Que fosse o rum da embriaguez total,

e nunca a vida em lucidez vivida

nem a felicidade vã sonhar.



Que fosse morte, derradeiro fim,

e nunca amor, esse funesto amor,

feito somente de renúncia e dor.





QUI FUT



Qui fut coupe de beuvage amer

dans une nuit d’interminable veille,

et jamais sonate preste et joyeuse.



Qui fut coupe de vin doux,

ma cigüe, ma douleur mortelle,

et jamais candeur dans l’être essentiel.



Qui fut le rhum d’une ivresse totale

et jamais la vie lucidement vécue

ni le rêve allant à la félicité.



Qui fut la mort, la fin dernière,

et jamais amour, ce funeste amour

fait du seul chagrin et du renoncement.



(Traduction: Jean Paul Mestas)









PROGRESSO



Meu pai pastorava

os rebanhos de um coronel.

Dizem que morreu em paz

e subiu aos céus.



Eu vigio os carros da burguesia

pequena, média e grande.

Tenho fé em Deus

que tudo vai ser igual.



PROGRES



Mon père mêne paitre

les troupeaux d’un colonel.

On dit qu’il meurt en paix

et monte au ciel.



Je guette les voitures de la bourgeoisie

petite, moyenne et grande.

J’ai foi en Dieu

que tout va vers l’égalité.



(Traduction: Jean Paul Mestas)





DUENDE



Nenhum punhal traiçoeiro

me assassina,

nenhum veneno letal

me envenena,

nenhuma vil vilania

me envilece.

Nada me mata, nem deus,

nem matador por dever,

e viverei sobre as forças,

todos fuzis, vilanias,

armas, traições inimigas.

Feito um duende, estarei

eternamente a lutar

por minha humana feição,

mesmo sofrido e africano.





LUTIN



Aucun poignard perfide

ne m’assassine

aucun venin mortel

ne m’empoisonne

aucune vilenie

ne m’avilit.



Rien ne me tue, ni dieu

ni meurtrier d’office,

je vivrai au-dessus des forces,

tous fusils, vilenies,

armes, traîtrises ennemies.



Fait lutin, je serai

éternellement un lutteur

à ma façon humaine,

même patient et africain.



(Do livro Reflexos da Poesia Contemporânea do Brasil, França, Itália e Portugal, antologia organizada por Jean Paul Mestas, Universitária Editora, Lisboa, Portugal, 2000.)





COM OS PÉS NO CHÃO



José vagava de construção

em construção,

assobiando cançonetas

de todo tipo.

Às vezes até voava

de andaime a andaime,

feito um anjo feliz.

Embevecidos, riam todos,

do engenheiro ao mestre de obras,

e até o dono daquilo tudo.

Um dia José inventou de escorregar

e ir ao chão.

Desde então

ninguém mais riu

de sua cabeça torta,

pendendo para a esquerda.

Hoje ele faz piquetes

e grita bem alto

&
61485.; operários de todo o mundo,

uni-vos.



AVEC LES PIEDS PAR TERRE



José vaguait de bâtiment

en bâtiment,

sifflant

toutes sortes de chansonnettes.

Parfois même il volait

d’un échafaudage au suivant,

devenu ange heureux.

Extasiés, tous riaient,

de l’ingénieur au maître d’oeuvre

et même le maître de tout.

Il eut un jour l’idée

de déraper, alla au sol.

Dès lors, nul ne rît plus

de as tête difforme

pendant à gauche.

Aujourd’hui il fait des piquets

chante bien haut

— ouvriers de ce monde,

unissez-vous!



(Do livro Reflexos da Poesia Contemporânea do Brasil, França, Itália e Portugal, antologia organizada por Jean Paul Mestas, Universitária Editora, Lisboa, Portugal, 2000.)





AMANHANÇA



Como será nosso amanhã, criança?

O meu, o teu, o da vizinhança?

Talvez verde-esperança

como sempre

razão de viver.

Talvez branco-matança,

talvez negro black-power

soco na cara do branco.

Talvez amarelinho-da-silva.

Ou será vermelho-festança,

Criança?

Ou pura lembrança

de Ontem e de Hoje?

Como será nosso amanhã, criança?

Amanhança?









AURORAL



Comment sera notre avenir, enfant?

Le mien, le tien, celui du voisinage?

Peut-être vert-espérance,

peut-être tuerie-blanche,

peut-être noir

— black-power —

coup de poing dans la face du blanc.

Peut-être jaunet sauvage,

petit brésilien,

latino-américain.

Ou il sera rouge-fête joyeuse

ou pur souvenir

d’hier et aujourd’hui.



Comment sera notre avenir, enfant?

Auroral?



(Do livro Reflexos da Poesia Contemporânea do Brasil, França, Itália e Portugal, antologia organizada por Jean Paul Mestas, Universitária Editora, Lisboa, Portugal, 2000.)





PROF-ÉTICA



O poema é um punhal

que brilhará na carne

dos condes

cendentes.

Seus reflexos parirão

estrelas

que habitarão o céu.

Marinas cintilarão

como ametistas

nas bocas dos desvalidos.

Imensas pérolas de enfeite

da grande festa

anunciada.

Nas ruas novamente

habitadas por benjamins,

sorrisos, brisas

nos dentes de marfim,

onde se inscreverão

os versos dos decapitados.





PRO-PHÉTIQUE



Le poème est un poignard

qui brillera dans la chair

des condes

cendances.

Ses reflets enfanteront

des étoiles

qui habiteront le ciel.

Des marinas scintilleront

telles des améthystes

dans la bouche des disgraciés.

Immenses perles d’ornement

de la grande fête

annoncée.

Dans des rues récemment

habitées par des benjamins,

sourires, brises,

nos dents d’ivoire

où s’inscrivent les vers

des décapités.



(Do livro Reflexos da Poesia Contemporânea do Brasil, França, Itália e Portugal, antologia organizada por Jean Paul Mestas, Universitária Editora, Lisboa, Portugal, 2000.)



SAUDADES

(primeira estrofe)



Tudo passa, tudo passa.

Até as paredes largas,

As janelas e as portas.



TOUT PASSE



Tout passe, tout passe,

même les murs interminables,

les fenêtres et les portes.



(Da plaquete Brésil 500 Ans, editions Jalons, Nantes, France, juin 2000, trad. de Jean-Paul Mestas)



CALVÁRIO



Eu também já fui menino, Jesus.

E tive irmãos e tive pais e casa.

Andavam pelo chão formigas em

labores, procissões intermináveis.



Voavam gafanhotos e saltavam,

como se o céu limites não tivesse.

As gotas d’água fria em mim caíam

quando eu tocava um galho enverdecido.



Nas madrugadas ventos me levavam

e eu me perdia em nuvens de algodão.

Nos arrebóis do entardecer o sol

agonizava no calvário e

me dessangrava, como se eu finasse.



Eu também já fui menino, Jesus.

Lembro de meus irmãos adormecidos

no vendaval dos sonhos e perdidos

comigo e com você, que já crescera.

(13.09.96)







CALVARIO



Yo también ya fui niño, Jesús.

Y tuve hermanos y tuve padres y casa.

Andaban por el suelo hormigas en

labores, procesiones interminables.



Volaban langostas y saltaban,

como si el cielo límites no tuviese.

Las gotas de agua fría en mí caían

cuando yo tocaba un gajo enverdecido.



En las madrugadas vientos me llevaban

y me perdía en nubles de algodón.

En los arreboles del atardecer el sol

agonizaba en el calvario y

me desangraba, como si yo muriese.



Yo también ya fui niño, Jesús.

Recuerdo mis hermanos adormecidos

en el vendaval de los sueños y perdidos

conmigo y contigo, que ya crecieras.



(In Poesía de Brasil, volumen 1, organizado por Aricy Curvello e traduzido por Gabriel Solis, Proyeto Cultural Sur, 2000.)



DE DESAPARIÇÕES E DE RUÍNAS



Quando os dragões sumiram

por trás dos montes,

eu me quedei,

olhos fitos nos horizontes empardecidos.

Anoiteceu e ainda pude ver

suas sombras se diluindo,

e, com elas, toda a coorte do castelo:

princesas, fadas, bruxas e duendes.

Incontinenti, ruíram as muralhas

e um pó sem cor se fez no ar,

feito nuvens de tempestade.

Busquei sonhar.

No entanto, o leito não me comportou

e eu me senti tão só

que a noite nunca teve fim.

Tudo desapareceu,

tudo ruiu:

ruas e casas que habitei

e com elas meus passeios.;

cadernos de caligrafia

e com eles meus rabiscos.;

verbos no pretérito

e com eles o presente e o futuro.;

bares onde me inebriei

e com eles meus devaneios.;

amigos e seus ais

e com eles a sede de dizer.;

amadas e seus olhos

e com elas a fantasia.;

meus irmãos e suas vozes

e com eles os motivos de lutar.;

meu pai e minha mãe

e com eles o sentido de viver.





Tudo desapareceu,

tudo ruiu,

até que o próprio Deus sumiu.

E então tudo o que fora sólido

se espedaçou.;

tudo o que fora festa

se estiolou.;

tudo o que fora enigma

se elucidou.;

tudo o que fora nobre

se banalizou.;

tudo o que fora belo

se embaçou.;

tudo o que fora doce

se amargurou.;

tudo o que fora sacro

se aviltou.;

tudo o que fora eterno

se findou.;

tudo o que fora vida

em morte se tornou.;

tudo o que fora meu

roubou-me o tempo

e eu afundei num poço

em que não creio.

(9.8.97)







DE DESAPARICIONES Y DE RUINAS



Cuando los dragones desaparecieron

detrás de los montes

yo me quedé,

ojos fijos en los horizontes amarronados.

Anocheció y aún pude ver

sus sombras diluyéndose,

y, com ellas, toda la corte del castillo:

princesas, hadas, brujas y duendes.

Incontinenti, cayeron las murallas

y un polvo sin color se hizo en el aire,

como nubles de tempestad.

Busqué soñar.

Sin embargo, el lecho no me aceptó

y me sentí tan solo

que la noche nunca tuvo fin.

Todo desapareció,

todo se deshizo:

calles y casas que habité

y con ellas mis paseos.;

cuadernos de caligrafía

y con ellos mis esbozos.;

verbos en pretérito

y con ellos el presente y el futuro.;

bares donde me embriagué

y con ellos mis divagaciones.;

amigos y sus ays

y con ellos la sed de decir.;

amadas y sus ojos

y con ellas la fantasía.;

mis hermanos y sus voces

y con ellos los motivos de luchar.;

mi padre y mi madre

y con ellos el sentido de vivir.

Todo desapareció,

todo se deshizo

hasta que el mismo Dios se fue.

Y entonces todo lo que fuera sólido

se despedazó.;

todo lo que fuera fiesta

desfalleció.;

todo lo que fuera enigma

se elucidó.;

todo lo que fuera noble

se banalizó.;

todo lo que fuera bello

se empañó.;

todo lo que fuera dulce

se amargó.;

todo lo que fuera sacro

se envileció.;

todo lo que fuera eterno

se terminó.;

todo lo que fuera vida

en muerte se convirtió.;

todo lo que fuera mío

el tiempo me lo robó

y me hundí en un pozo

en que no creo.



(In Poesía de Brasil, volumen 1, organizado por Aricy Curvello e traduzido por Gabriel Solis, Proyeto Cultural Sur, 2000.)







FRANCISCA

Para minha mãe.



O corpo dela &
61485.; finas fibras de algodão.

Su’alma doce &
61485.; cana e mel nos descampados.

Francisca, franciscana, passarinho, abelha.

Materna e bela &
61485.; mãe dos meus penares: penas.



Seu frágil corpo e a terra tão pesada sobre

o esp’rito dela grande feito um vasto mundo,

voando aves, alves, alvas, alvacentas plumas

no espaço, o céu que cria Deus e a salvação.



Agora vago feito um vagabundo e espreito

estrelas, luzes, vãs quimeras, perdições

de quem viveu ou vive a acreditar no Nada.



E sonho ser aqui fiapo ou gota que

se busca, chama-se, perdido e apagado,

e a chama: mãe, me acende e me ilumina sempre.







FRANCISCA



Su cuerpo – finas fibras de algodón.

Su alma dulce – caña y miel en los descampados.

Francisca, franciscana, pajarito, abeja.

Maternal y bella – madre de mis penares: plumas.



Su frágil cuerpo y la tierra tan pesada sobre

su espíritu grande como un vasto mundo,

volando aves, albas, albeoladas plumas

en el espacio, el cielo que crea Dios y la salvación.



Ahora vago hecho un vagabundo y acecho

estrella, luces, venas quimeras, perdiciones

de quien vivió o vive no creyendo en la Nada.



Y sueño ser aquí hilacha o gota que

se busca, se llama, perdida y desvanecida,

y la llama: madre, enciéndeme y ilumíname siempre.



(In Poesía de Brasil, volumen 1, organizado por Aricy Curvello e traduzido por Gabriel Solis, Proyeto Cultural Sur, 2000.)







ARCO-ÍRIS



As árvores tocavam alaúde,

requebravam-se bailarinamente

ao escapar dos ventos e das nuvens.



As torres das igrejas e seus pássaros

&
61485.; geometrias ásperas, cadentes &
61485.;

desenho branco no reverso azul.



Azafamado, o homem nem sequer

via o menino ver sua partida,

a porta aberta, a rua, seu chapéu.



Quando chovia e o sol brilhava ainda,

via o menino o espectro das cores

nos olhos da menina que sorria.



E longe deles, onde os anjos moram,

o arco-celeste a cauda aberta em leque,

em cores se curvava sobre o mundo.



Os alaúdes não se tocam mais.;

há forcas pelos campos e cidades.;

morcegos voam pelas sacras naves.



O homem sumiu com seu chapéu de feltro

na curva da avenida, e, mais sisudo,

nem disse ao filho expectante adeus.



Do paraíso os anjos foram expulsos.

Desvaneceu-se o arco-íris, pouco a pouco.

Menina foi, menino foi &
61485.; partiram.

(31.8.98)







ARCO IRIS



Los árboles tocaban laúd,

se retorcían bailarinamente

al escapar de los vientos y de las nubles.



Las torres de las iglesias y sus pájaros

– geometrías ásperas, candentes –

dibujo blanco en el reverso azul.



Apresurado, el hombre ni siquiera

veía el niño ver su partida,

la puerta abierta, la calle, su sombrero.



Cuando llovía y el sol brillaba aún,

veía el niño el espectro de los colores

en los ojos de la niña que sonreía.



Y lejos de ellos, donde los ángeles viven,

el arco celeste la cola abierta en abanico,

en colores se curvaba sobre las sacras naves.



El hombre se fue con su sombrero de fieltro

en la curva de la avenida y, más sensato,

ni dijo al hijo expectante adiós.



Del paraíso los ángeles fueron expulsados.

Se desvaneció el arco iris, poco a poco.

Niña fue, niño fue – partieron.



(In Poesía de Brasil, volumen 1, organizado por Aricy Curvello e traduzido por Gabriel Solis, Proyeto Cultural Sur, 2000.)





CHORO



Antigamente eu ouvia

Jacó do Bandolim

e nem me lembrava do

passado.



Hoje ouço de novo

os choros dele.

E nem sei se os ouço,

tão sem ouvidos estou,

como se apenas ouvisse

uma valsa de antigamente.





POLKA



Uma volta io ascoltavo

Jacó do Bandolim

e non mi ricordavo

del passato.

Ascolto oggi nuovamente

le polke di lui.

E neppure so se le sento,

come se ascoltassi solamente

um valzer d’altri tempi.



(Trad. dal portoghese di Enzo Bonventre, Cecina, LI, Itália, 22/3/2002)



Comentarios
O que você achou deste texto?     Nome:     Mail:    
Comente: 
Renove sua assinatura para ver os contadores de acesso - Clique Aqui